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Cosa rischia un fallito?

Artemide Ferretti
Artemide Ferretti
2025-07-28 17:23:32
Numero di risposte : 15
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Il fallimento di un’impresa rappresenta una situazione delicata e spesso traumatica per un imprenditore. Per l’imprenditore fallito le conseguenze, infatti, non si limitano all’ambito economico, ma hanno ripercussioni anche legali e personali, incidendo profondamente sul futuro del soggetto coinvolto. L’imprenditore perde così la disponibilità e il controllo del proprio patrimonio. Infine, i conti correnti dell’imprenditore fallito vengono bloccati, impedendo la gestione autonoma delle proprie risorse finanziarie. Per l’imprenditore fallito le conseguenze legali principali sono le seguenti: inabilitazione: con il fallimento, l’imprenditore perde la capacità di assumere cariche pubbliche, come quella di amministratore di altre società, fino alla fine della procedura fallimentare; decadenza e sospensione da cariche societarie: il fallito non può esercitare l’attività d’impresa né partecipare come amministratore in altre società fino alla conclusione della procedura e all’eventuale riabilitazione; pene accessorie: oltre alle limitazioni civili, il fallimento può comportare pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici, la sospensione del diritto di voto, l’incapacità di ricoprire cariche direttive o amministrative; possibile procedimento penale: in alcuni casi, il fallimento può portare a un procedimento penale nei confronti dell’imprenditore, come nel caso di bancarotta fraudolenta, se vengono accertati atti di frode o comportamenti dolosi, quali la distrazione di beni aziendali o la tenuta di bilanci falsi. Infine, è bene ricordare anche che per l’imprenditore fallito le conseguenze personali sono tante e possono compromettere la sua credibilità e reputazione. Questo può incidere negativamente sulla possibilità di ottenere credito in futuro, di accedere a finanziamenti o di svolgere ruoli di responsabilità in altri contesti professionali.
Diana Longo
Diana Longo
2025-07-28 15:55:26
Numero di risposte : 16
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A seguito della sentenza che dichiara di fallimento della propria attività, l’imprenditore si trova ad affrontare una serie di effetti sul piano personale, ma anche su quello economico e sul piano processuale. Il fallimento trova la propria disciplina nel Regio Decreto numero 267 del 1942, meglio noto come Legge Fallimentare. Lo scopo finale è quello di liquidare totalmente il patrimonio dell’imprenditore per poter risarcire i vari creditori. Per l’imprenditore fallito conseguenze gravi si ripercuotono sulla sua sfera economica, a partire dal concetto di “spossessamento” che decorre dalla data della pubblicazione della sentenza di fallimento e lo priva a tutti gli effetti dei diritti sul proprio patrimonio. Lo “spossessamento” riguarda tutti i beni dell’imprenditore fallito, compresi quelli acquistati nel corso della procedura fallimentare e quelli in possesso del fallito ma di proprietà di terzi. L’articolo 46 della Legge Fallimentare dice che non sono compresi nel fallimento: i beni e i diritti di natura strettamente personale gli assegni di carattere alimentare come gli stipendi, le pensioni e i salari che l’imprenditore guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli e del fondo patrimoniale le cose che non possono essere pignorate, come disposto dalla Legge. L’imprenditore ha infatti l’obbligo di: consegnare al curatore fallimentare la propria corrispondenza, lavorativa e non strettamente personale, sia cartacea che elettronica, mostrando tutto quello che ha a che fare con i rapporti societari, con i creditori e con il fallimento. La dichiarazione di fallimento ha, sin da subito, effetti anche sul piano processuale: tutti i processi che riguardano i rapporti rientranti nel fallimento vengono interrotti, il fallito non è legittimato ad intraprendere nuovi giudizi e non può più stare a giudizio neanche nelle controversie preesistenti. L’articolo 43 della Legge Fallimentare prevede però che “il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico se l’intervento è previsto dalla legge.”