Un fallito può andare all'estero?
Gianriccardo Conte
2025-10-07 23:45:58
Numero di risposte
: 20
Un fallito può andare all'estero.
Il nuovo articolo 49 fa decadere le pesanti restrizioni personali, mantenendo il solo obbligo di comunicare al curatore il cambiamento di residenza e assicurare la presenza davanti al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori.
Sparisce, perciò, il divieto di espatrio dell’imprenditore fallito, contenuto nella versione precedente della legge, che comportava il ritiro del passaporto e l’apposizione su carta d’identità dell’annotazione: “Documento non valido per l’espatrio”.
Il nuovo articolo 49 fa decadere le pesanti restrizioni personali.
Il divieto di espatrio dell’imprenditore fallito, contenuto nella versione precedente della legge, comportava il ritiro del passaporto e l’apposizione su carta d’identità dell’annotazione: “Documento non valido per l’espatrio”.
Simona Benedetti
2025-10-06 18:48:57
Numero di risposte
: 29
La disposizione in commento mira a consentire agli organi della procedura di poter sempre consultare rapidamente i soggetti che possono dare notizie utili.
La riforma del 2006 ha attenuato i doveri del fallito, che in precedenza doveva essere autorizzato ad allontanarsi dalla propria residenza.
È inammissibile il ricorso per cassazione proposto, ex art. 111 Cost., nei confronti del decreto con il quale il tribunale respinge la richiesta del fallito di recarsi all'estero per motivi di lavoro.
Il fallito ha l'obbligo di essere sempre reperibile e di dover comparire personalmente quando richiesto dal g.d., dal curatore o dal comitato dei creditori.
Il giudice può autorizzare l'imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario.
Walter Giordano
2025-09-23 07:58:46
Numero di risposte
: 23
L'imprenditore individuale fallito non è soggetto ad alcun divieto di esercizio di una nuova attività.
Il fallimento e lo spossessamento del fallito determinano una incapacità relativa, che non investe la capacità di agire in relazione ad una nuova attività lavorativa.
La gestione della nuova attività con incassi e pagamenti e tutto quello che segue non va analizzata atomisticamente atto per atto, ma va valutata nel suo insieme come attività d'impresa.
L'acquisizione dell'attivo necessario per il suo esercizio va valutato quale bene sopravvenuto, che resta soggetto alla disposizione di cui all'art. 42, comma 2, l. fall.
Il curatore ha facoltà di appropriarsi delle sopravvenienze di ulteriori beni per titolo successivo al fallimento "al netto delle spese incontrate per la loro realizzazione".
Gastone Grasso
2025-09-23 06:18:17
Numero di risposte
: 19
Il trasferimento della sede all’estero, sia esso effettivo o fittizio, non preclude la possibilità che una società possa essere dichiarata fallita.
La corte di Cassazione, con l’ordinanza n° 10793 del 4 maggio 2018 ha statuito che il trasferimento della sede all’estero non preclude la possibilità che una società possa essere dichiarata fallita.
Se l’attività continua ad essere esercitata in Italia vi è continuità giuridica e la società, qualora ne ricorrano i presupposti oggettivo e soggettivo disciplinati dalla legge fallimentare, può essere sottoposta a procedura fallimentare.
Il trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività.
Il mero trasferimento della sede, e non dell’attività, non comporta neanche un difetto di giurisdizione poiché l’esercizio dell’attività imprenditoriale continua ad essere svolto nel territorio dello Stato.