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Congiunti in azienda: si può fare?

Sandra Montanari
Sandra Montanari
2025-06-07 21:33:07
Numero di risposte: 6
Sono tanti in Italia i lavoratori che sono impiegati nella stessa azienda di qualche parente. Insomma, non è certo raro trovarsi nello stesso ufficio la moglie o il cugino. É ora previsto che, nell’ipotesi di «prestazioni di lavoro tra parenti e affini conviventi, in virtù del vincolo che lega i soggetti coinvolti e della relativa comunione di interessi, la prestazione lavorativa si presume a titolo gratuito ed è, pertanto, necessario verificare l’eventuale sussistenza dei requisiti della subordinazione». Nel caso in cui tra i dipendenti vi siano parenti, il dichiarante dovrà inserire nell’apposito campo il codice fiscale del lavoratore e scegliere nel menu a tendina il tipo di relazione che li lega. Il datore di lavoro dovrà dichiarare espressamente se tra i dipendenti ci sono suoi familiari, indicando anche il tipo di rapporto che li lega. E proprio per scongiurare abusi, l’Inps ha recentemente introdotto un’importante novità per i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze un familiare.
Silvia Valentini
Silvia Valentini
2025-06-07 19:01:18
Numero di risposte: 8
Il cosiddetto decreto Biagi ha stabilito che le prestazioni svolte da parenti e affini, in ambito agricolo, non costituiscano lavoro autonomo o subordinato purché siano svolte in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto o obbligazione morale senza la percezione di un compenso. Possono essere coinvolti parenti e affini sino al sesto grado. Pertanto, le prestazioni di parenti e affini entro il sesto grado non integrano un rapporto di lavoro subordinato o autonomo se l'attività è agricola, occasionale, svolta in virtù di una obbligazione di natura morale e quindi gratuitamente? Non vi dovrà essere alcuna corresponsione di compensi, fatte salve le eventuali spese di mantenimento o spese sostenute per l'esecuzione dei lavori. Per attività occasionale si deve intendere quella caratterizzata dalla non sistematicità e stabilità dei compiti espletati, non integrante comportamenti di tipo abituale e prevalente nell'ambito della gestione e del funzionamento dell'impresa. Il Ministero del Lavoro ha precisato che appare opportuno, anche nel settore agricolo, legare la nozione di occasionalità al limite quantitativo indicativo dei 90 giorni, intesi come frazionabili in ore, ossia 720 ore nel corso dell'anno solare. Il lavoro non è considerato abituale o prevalente se il parente è pensionato o se è assunto a tempo pieno da un altro datore di lavoro. Sono invece più stringenti gli obblighi assicurativi Inail. Infatti, non sussiste l'obbligo assicurativo solo nel caso in cui le prestazioni non siano ricorrenti, cioè rese una/due volte nell'arco dello stesso mese, purché complessivamente non si superino le 10 giornate lavorative annue. La disciplina è analoga sia per il Coltivatore diretto, sia per l'Imprenditore agricolo professionale. La norma non distingue tra le due figure. Vi è stato anche un chiarimento del Ministero del lavoro che ha ulteriormente precisato che il lavoro occasionale agricolo è applicabile a qualsivoglia necessità aziendale. Il criterio di valutazione non è peraltro destinato a operare in termini assoluti e, qualora si prescinda dallo stesso, i verbali ispettivi dovranno essere puntualmente motivati in ordine alla ricostruzione del rapporto in termini di prestazione lavorativa abituale/prevalente.
Enrica Pagano
Enrica Pagano
2025-06-07 18:17:42
Numero di risposte: 3
Generalmente non ci sono regole che vietano l’assunzione di familiari in azienda, salvo in determinati casi che andremo ad analizzare nel prosieguo dell’articolo. Come noto, salvo determinati contesti - ad esempio quando si dimostra una finalità di solidarietà - l’attività lavorativa si presume come resa a titolo oneroso. L’articolo 2094 del Codice Civile, infatti, definisce il prestatore di lavoro subordinato come il soggetto che “si obbliga - mediante retribuzione - a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Ci sono dei casi, però, in cui non è possibile presumere la prestazione a titolo oneroso tra datore di lavoro e dipendente familiare ed è per questo che ci sono delle limitazioni riguardanti la loro assunzione. Per capire quando è possibile assumere un familiare in azienda bisogna tener conto di due fattori: la forma di esercizio dell’attività aziendale e il legame di parentela che sussiste tra le parti. Nel caso della società di capitali il titolo oneroso della prestazione lavorativa è sempre presunto, indipendentemente da un eventuale legame di parentela tra il lavoratore e uno o più soci dell’impresa. Per quanto riguarda le società di persone, invece, generalmente l’Inps non riconosce il rapporto subordinato instaurato tra parenti, salvo il caso delle prestazioni rese in forma occasionale. L’ultimo caso è quello della ditta individuale, per la quale l’attività lavorativa del parente si presume automaticamente a titolo gratuito. È comunque possibile rinvenire una legittimità nel rapporto di lavoro subordinato quando coinvolge i seguenti familiari: figlio maggiorenne, fratello o sorella, zii e cugini.