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Cosa succede al mio contratto di lavoro dopo un licenziamento?

Emilia Montanari
Emilia Montanari
2025-07-24 07:46:54
Numero di risposte : 8
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Il dipendente, dopo le dimissioni o il licenziamento, può essere reintegrato in azienda con mansioni analoghe o diverse. In caso di mansioni analoghe, però, non può essere inquadrato a un livello inferiore rispetto a quanto previsto dal vecchio contratto. Il livello, a seconda delle circostanze e dell’eventuale know-how accumulato nel periodo intercorso tra i due contratti, deve essere uguale o superiore. Inoltre, il periodo di prova iniziale è considerato illegittimo in caso al dipendente venga assegnato lo stesso ruolo precedentemente ricoperto. La riassunzione dopo le dimissioni volontarie è possibile, nel settore pubblico come nel settore privato. La revoca delle dimissioni volontarie nelle aziende private è disciplinata dal D.Lgs. 151/2015. Il limite di riassunzione dopo le dimissioni volontarie è 36 mesi, ma può essere bypassato in caso di contratti collettivi, lavoratori stagionali e contratti di lavoro stipulati con l’ispettore territoriale del lavoro competente. Quando scade un contratto a tempo determinato, e l’azienda sceglie di prolungare la collaborazione, le opzioni sono due: la proroga il rinnovo. La proroga di un contratto di lavoro a termine consiste nel prolungamento della durata del contratto iniziale, mantenendo inalterate le condizioni pattuite, salvo diverso accordo tra le parti. Il rinnovo avviene invece quando l’azienda riassume un dipendente precedentemente impiegato a termine. Fondamentale è però il rispetto del cosiddetto “stop & go”: per contratti inferiori ai 6 mesi, è necessario che vi siano almeno 10 giorni di pausa prima del rinnovo, mentre per contratti superiori ai 6 mesi la pausa minima è di 20 giorni. I contratti a termine con la stessa azienda, per le stesse mansioni, non possono inoltre eccedere complessivamente i 24 mesi e non possono essere prorogati più di quattro volte.
Damiana Sanna
Damiana Sanna
2025-07-24 07:33:19
Numero di risposte : 16
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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha alla base motivazioni esterne al lavoratore o non imputabili allo stesso. Il datore di lavoro però non può procedere al licenziamento a meno che non dia prova della effettiva sussistenza di una difficoltà economica o dell’andamento negativo di mercato, ragion per cui è necessaria la riduzione dell’organico o la soppressione di quel posto di lavoro per esigenze effettive di riorganizzazione aziendale. Tale prova deve essere fornita al Giudice del lavoro dal datore di lavoro, tramite elementi oggettivi, come ad esempio la messa in visione dei bilanci d’esercizio corrispondenti agli ultimi anni, i quali ben possono mostrare se vi sia o meno una perdita d’esercizio. In virtù del c.d. diritto di repêchage del lavoratore, il datore di lavoro deve anche dare prova di non poter ricollocare il lavoratore in esubero in altra posizione lavorativa disponibile. Insomma il licenziamento può essere considerato legittimo solo quando costituisca un’extrema ratio, cioè solo quando non sia possibile, per il datore di lavoro, alcun salvataggio del lavoratore nell’organizzazione produttiva, anche attraverso l’assegnazione dello stesso a mansioni diverse. Una situazione di crisi d’azienda si pone infatti in antitesi con l’assunzione di nuovo personale e certamente comporta una manovra elusiva messa in atto dal datore di lavoro atta a licenziare lavoratori che presentano costi maggiori, a favore di altri che per tipo di contratto e anzianità percepiscono uno stipendio minore. Secondo i criteri espressi dall’ art. 5 Legge 23 luglio 1991 n. 223, il datore di lavoro deve privilegiare la conservazione del posto di lavoro per i dipendenti che possiedono una maggiore anzianità di servizio, dando precedenza al mantenimento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a discapito di quelli a tempo determinato, part-time e di somministrazione. Nel suo caso quindi lei potrà impugnare il licenziamento, entro 60 giorni dalla sua comunicazione ed in seguito avrà 180 giorni per depositare, tramite il proprio legale, formale ricorso presso la sezione lavoro del Tribunale, affinché sia accertata l’illegittimità del licenziamento e il reintegro con il relativo risarcimento del danno.
Genziana Bianchi
Genziana Bianchi
2025-07-24 06:50:02
Numero di risposte : 13
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Un rapporto di lavoro può finire per un fatto imprevisto come il licenziamento o perché così era stabilito già al momento dell’assunzione o per una ragione comunque prevedibile. Si parla in questi casi di conclusione naturale del rapporto di lavoro. Ad esempio contratto a termine, apprendistato,lavoro parasubordinato sono contratti che danno vita a rapporti che fin dall'inizio hanno una scadenza e, al momento prestabilito, si chiudono senza necessità di atti particolari né da parte del datore né da parte del lavoratore. Diverso è il caso del contratto a tempo indeterminato. In questo caso non vi è alcuna scadenza già fissata. Arrivati a questo momento, fatidico per molti lavoratori, il dipendente non ha più diritto a continuare a lavorare e il datore è libero di interrompere il rapporto.
Ugo Ruggiero
Ugo Ruggiero
2025-07-24 04:41:11
Numero di risposte : 17
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Il licenziamento deve avere forma scritta e deve contenere i motivi che lo hanno determinato. Il datore di lavoro può revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione e ripristinare il rapporto di lavoro e tu avrai diritto a ricevere la retribuzione maturata prima della revoca. A seconda della gravità del vizio del licenziamento accertato dal giudice, potrai ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro oppure un’indennità risarcitoria. Puoi ottenere la reintegrazione, oltre ad un risarcimento del danno, in caso di licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale o nullo oppure se dimostri l’insussistenza del fatto a te contestato; in tutti gli altri casi avrai solo diritto a un’indennità risarcitoria.