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Licenziamento comporto reintegra?

Eusebio D'amico
Eusebio D'amico
2025-08-31 18:18:13
Numero di risposte : 16
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Il lavoratore assunto dopo il 6 marzo 2015 deve essere reintegrato quando venga licenziato prima del superamento del periodo di tollerabilità delle assenze per malattia. Il licenziamento intimato ad un dipendente prima della scadenza di questo limite di tollerabilità dell’assenza è illegittimo. L’art. 2110 c.c. prevede infatti che «l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto [soltanto] decorso il periodo stabilito» dal contratto collettivo. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 5 agosto 2022, accoglie le ragioni del lavoratore, disponendone la reintegrazione in azienda e condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni dal licenziamento alla reintegra. L’ipotesi della violazione del periodo di comporto doveva ritenersi rientrare a pieno titolo tra gli «altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» indicati dal Jobs Act. Nessun problema si pone per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015: l'art. 18 dello Statuto dispone infatti che si applichi la reintegrazione. Diversamente dallo Statuto, nel Jobs Act, applicabile ai lavoratori assunti a partire dal marzo 2015 con "contratto di lavoro a tutele crescenti", non è esplicitamente prevista l'ipotesi della violazione del periodo di conservazione del posto. Il lavoratore assunto in regime Job Act e licenziato prima della scadenza del periodo di comporto, si è rivolto a Legalilavoro Bologna; in primo grado il giudice aveva accertato l’illegittimità del licenziamento senza però condannare la Società alla reintegrazione, ma al pagamento della semplice indennità. Legalilavoro Bologna decideva allora di proporre appello contro la sentenza di primo grado sostenendo come, anche in regime di Jobs Act, il datore di lavoro che licenzi prima della scadenza del periodo di conservazione del posto debba essere condannato alla reintegrazione. Fondava tale richiesta sul fatto che l’art. 2110 c.c. era stato considerato norma imperativa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e pertanto gli atti compiuti in sua violazioni dovevano essere ritenuti nulli.
Massimiliano Carbone
Massimiliano Carbone
2025-08-31 18:14:59
Numero di risposte : 15
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Il licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110, comma 2, cod. civ., è fattispecie autonoma di licenziamento e la cui violazione comporta la radicale nullità dell'atto espulsivo. Ne consegue che, anche in caso di datore di lavoro con meno di quindici dipendenti, al licenziamento nullo per violazione del periodo di comporto non si applica la sola tutela indennitaria di cui all'art. 8 L. 604/1966, bensì la tutela reintegratoria. La scelta legislativa è stata quella di raccogliere nel primo comma dell'art. 18 L. 300/1970 "tutti i casi di nullità del licenziamento previsti dalla legge" e di ricondurre espressamente al comma 7 del medesimo articolo l'ipotesi di nullità licenziamento ex art. 2110, comma 2, cod. civ. Per la Corte di Cassazione, in proposito, è irrilevante il criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti che, se può giustificare livelli diversi di tutela in ipotesi di licenziamento annullabile, non può legittimare una diversificazione delle conseguenze del licenziamento nullo. La sentenza è consequenziale alla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (n. 12568/2018) che, superando un contrasto giurisprudenziale formatosi sul tema, aveva sancito la nullità del recesso intimato in violazione dell'art. 2110, comma 2, cod. civ., anziché la sua inefficacia. La Cassazione Sezione Lavoro n. 19661 del 2019 aveva quindi già affermato l'applicazione della tutela reintegratoria indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati dal datore di lavoro.
Harry Coppola
Harry Coppola
2025-08-31 18:13:11
Numero di risposte : 15
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La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 22455 del 6 agosto 2024, ha disposto che il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto ha diritto alla reintegra se è stato indotto in errore dalle buste paga che riportavano un numero di assenze sbagliato. Il giudice di prime cure ha rigettato il ricorso, mentre la Corte d’appello ha riformato la sentenza, giudicando illegittimo il recesso datoriale e disponendo la reintegra nel posto di lavoro, dato che sulla base dei prospetti presenza allegati alle buste paga il lavoratore è stato ragionevolmente indotto a ritenere di aver accumulato un numero di giorni di assenza per malattia di gran lunga inferiore al reale. Lo stesso giudice d’appello ha anche sottolineato che, pur essendo incontestabile che il lavoratore avrebbe potuto verificare autonomamente il numero di assenze per malattia, accedendo al portale web INPS, è anche vero che il comportamento posto in essere dal datore di lavoro, avendo fornito indicazioni fuorvianti al dipendente, non può essere considerato conforme a buona fede e correttezza. L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione che lo ha rigettato condividendo il ragionamento della Corte d’appello. Quest’ultima si è uniformata all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, se la contrattazione collettiva non contiene un’espressa previsione, il datore di lavoro non ha alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto. Tuttavia, tale adempimento è necessario per correggere le indicazioni erronee e fuorvianti che lo stesso datore di lavoro ha fornito al lavoratore nei prospetti presenze allegati alle buste paga e quindi per eliminare quel ragionevole affidamento ingenerato nel lavoratore dal precedente e reiterato comportamento datoriale.