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L'assegnazione della casa coniugale spetta al coniuge debole?

Vera Ruggiero
Vera Ruggiero
2025-05-27 07:30:42
Numero di risposte: 4
Il provvedimento del giudice serve a garantire ai figli la conservazione dell’ambiente domestico e non a fornire assistenza al coniuge economicamente più svantaggiato. La legge stabilisce a riguardo che il godimento del tetto domestico è attribuito dal giudice tenendo conto in via prioritaria dell’interesse dei figli. Il giudice della separazione potrà, in tal caso, assegnare la casa familiare al coniuge economicamente più debole. La risposta non è poi così scontata tant’è vero che sull’argomento si sono creati nel tempo orientamenti discordanti. Secondo la tesi prevalente, il diritto di abitazione sulla casa familiare per il coniuge, è strumentale alla conservazione della comunità domestica e si giustifica solo nell’interesse morale e materiale della prole a non subire un forzoso allontanamento dall’habitat familiare sempre goduto. Pertanto, in assenza di prole, il giudice non potrà emettere alcun provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non essendo la medesima neppure prevista dalla legge in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento. L’assegnazione della casa coniugale non può considerarsi, infatti, una misura assistenziale nei riguardi del coniuge più svantaggiato, ma adempie in via esclusiva a tutelare l’interesse della prole a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi dei genitori e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita. Perciò, l’assegnazione della casa coniugale ha un senso quando – nonostante la separazione dei genitori – sia ancora possibile parlare di famiglia in ragione della convivenza con la prole non autosufficiente.
Patrizia Mancini
Patrizia Mancini
2025-05-27 04:57:17
Numero di risposte: 7
Secondo la legge, a seguito della separazione il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli minorenni o con il quale i figli maggiorenni convivono. La giurisprudenza ritiene infatti che l’assegnazione abbia come presupposto la tutela della conservazione dell’habitat familiare per i figli minori ed economicamente non autosufficienti conviventi con il genitore assegnatario. Alla luce di quanto detto sinora possiamo affermare che l’unico vero presupposto per l’assegnazione della casa coniugale è l’affido dei figli, in quanto l’abitazione spetta al genitore collocatario. Secondo la Cassazione, l’assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta. Tanto è confermato dal fatto che, secondo la giurisprudenza, la domanda di assegnazione della casa coniugale senza figli non può essere accolta. Non sono invece rilevanti le condizioni reddituali dei coniugi, pur l’assegnazione incidendo sull’eventuale contributo economico che l’uno dovrà versare all’altro. In assenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, la casa familiare deve essere assegnata al coniuge che ne è proprietario. Secondo la giurisprudenza, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori. Pertanto, la domanda di assegnazione della casa familiare può essere avanzata solo in presenza di figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, al fine di garantire loro una continuità di vita nel medesimo ambiente e, dunque, al fine di evitare ulteriori traumi oltre a quello conseguente alla disgregazione del nucleo familiare. Di conseguenza, detta domanda va rigettata qualora dall’unione coniugale non sono nati figli e, pertanto, non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda.